A scuola bisogna saper copiare!


I.- Copiare male

Copiare a scuola è sempre stato punito con un brutto voto (quando scoperto).

In effetti copiare un compito, un esercizio, ecc. significa appropriarsi in maniera furtiva di una idea (di un progetto, di un elaborato) scritta da altre persone, in quanto viene apposto il proprio nome traendone un qualche beneficio (meriti, valutazione più alta, ecc.).

In definitiva usiamo il nostro nome come autore di una cosa che non è stata ideata da noi, ingannando l'insegnante o chi deve giudicare.

In questo modo si froda la gente. In sostanza si commette un falso.

Giustamente, quando lo studente è scoperto, viene sanzionato con il classico voto: quattro.

Al contrario se lo studente citasse il nome dell'autore del compito, non commetterebbe nessun falso, ma comunque, «per mancanza di idee», prenderebbe lo stesso un quattro.

Per lo studente copione sembrerebbe non esserci scampo!

E invece no!


II.- Le idee non si brevettano

Quando un docente insegna un teorema in sostanza sta copiando un'idea per trasmetterla agli studenti senza però appropriarsene (il teorema è di Pitagora, la legge è di Darwin, ecc.)

L'insegnante si guarda bene dal dire che il teorema è di sua invenzione.

In questo senso è rispettato l'autore.

Durante la lezione, nessuno dubita che il teorema sia di Pitagora, il docente si appropria della sola conoscenza e la trasmette agli studenti che continueranno ad utilizzarlo (copiarlo) per risolvere i vari problemi. Il teorema verrà prima studiato (grazie ad una sua copia) e, di volta in volta, applicato (usato). Per poterlo usare bisogna copiarlo.

Quando si spiega un algoritmo (si fa una copia), gli studenti imparano ripetendolo (fanno una copia) e succesivamente lo usano nella pratica (fanno una copia).

L'insegnamento è una forma di copia e l'apprendimento si svolge anche attraverso la copia.

Il discorso fatto per il teorema di geometria è estendibile, alle teorie fisiche, chimiche, economiche, alle grammatiche e in ultima analisi alla conoscenza in generale.

Le teorie possono essere viste come degli algoritmi.

Il software è un algoritmo.

Il software dunque è un bene immateriale.

«Gli algoritmi sono fondamentali per il software come lo sono le parole per gli scrittori, perché costituiscono le mattonelle con cui si costruiscono prodotti interessanti. Cosa accadrebbe se gli avvocati potessero brevettare i loro metodi di difesa o se i giudici potessero brevettare le loro decisioni precedenti?» D. E. Knuth: Programming Freedom, 1995.

Al riguardo «La convenzione europea dei brevetti vieta la brevettabilità dei metodi commerciali, delle teorie matematiche, dei programmi per elaboratore e altre categorie di invenzioni astratte, divieto presente anche nella normativa italiana» A. Rubini, Il problema dei brevetti sulle idee, 2001.

«Il software non è altro che una ricetta, un qualcosa di immateriale che congiungendosi a qualcosa di materiale, l'hardware, trasfigura la materia informe facendola diventare qualcosa di ordinato e utilizzabile. Proprio come la ricetta di cucinaG. Mazzolini, Software e copyright Roma 1998.

Nessuno mai si è sognato di brevettare le ricette di cucina e lucrarci sopra.


III.- Chi sono i pirati del software?

a) Per alcuni la copia del software deve essere libera, in questo caso è sufficiente citare l'autore.

b) Per altri invece la copia del software è vietata, a meno che non si paghi per ogni copia fatta.

Nel primo caso rientra il software libero, nel secondo caso rientra il software proprietario.


III.a) Il software libero

Il software libero vede il prodotto software come algoritmo come conoscenza e permette la copia che anzi è incentivata. E' contrario ai brevetti sul software. E ha elaborato una sua particolare licenza: la GNU GPL.

Recita questa licenza «Proteggiamo i diritti dell'utente (...) offrendo una Licenza che concede il permesso di copiare (...)» e più avanti: «E' lecito copiare e distribuire copie letterali del codice sorgente del Programma (...)».

La copia diventa libertà di riproduzione anzi di produzione. Copiare significa produrre.

«Chiunque abbia accesso ad un computer possiede o gestisce una fabbrica di software, uno strumento per produrre software, ovvero, farne nuove copie».

«Il diritto alla copia del software è dunque il diritto ad utilizzare una tua proprietà, il tuo proprio mezzo di produzione» R.J. Chassell in Un'economia del software libero: vantaggi e pericoli, 2001.

Lo studente che copia software genera una forma di produzione.

Il software libero apre la mente e sviluppa le risorse locali.


III.b) Il software proprietario

Così non è con il software proprietario.

Prendiamo una licenza d'uso proprietaria: «Una stessa licenza per il PRODOTTO SOFTWARE non può venir condivisa od usata in concomitanza su computer diversi».

In sostanza è vietata la copia.

La licenza proprietaria è usata «per soggiogare gli altri, farsi pagare con tutto il loro denaro» (Chassell).

Perciò i pirati del software sono coloro che, attraverso leggi e leggine che puniscono la copia del software proprietario, si vogliono appropriare dei nostri mezzi di produzione impedendoci di utilizzare al meglio il masterizzatore: questo è il vero atto di pirateria del software!


IV.- Copiare bene

L'uso del software proprietario a scuola è insopportabile perché nega la funzione principale dell'insegnamento: la trasmissione di cultura (algoritmi, concetti, ecc.). Non permette la curiosità, l'interesse, mortifica e umilia l'insegnamento.

Copiare il software è un diritto, come è un diritto avere accesso alla conoscenza.

Ma copiare software proprietario è un reato.

Chi copia software proprietario rischia dai sei mesi a tre anni di carcere, anche a scuola!

Perciò non facciamoci «fregare»: copiamo bene, copiamo software libero!



Antonio Bernardi

http://linuxdidattica.org